Prima della riforma, cioè fino al 5 giugno scorso, data di entrata in vigore della legge 76 del 2016, le convivenze non avevano una regolamentazione specifica, mentre alcune tutele erano state introdotte dalla giurisprudenza solo nei rapporti con i terzi ( ad esempio il subentro nel contratto di locazione o il diritto al risarcimento del danno). Nel vuoto normativo è stato ritenuto possibile stipulare dei contratti atipici così come prevede l’art.1322 c.c. per regolare aspetti patrimoniali, ad esclusione di quelli strettamente personali o successori. Possibile dunque regolare i rapporti patrimoniali inerenti al mantenimento, all’istruzione ed educazione dei figli all’obbligo per il convivente percepiente un reddito, di provvedere all’obbligo di chi si occupasse del lavoro domestico o della cura dei figli, o le modalità di partecipazione alle spese comuni. Possibile anche disciplinare anche la previsione dell’acquisto di beni in comunione ( di per se non opponibili a terzi ) l’uso della casa comune e la destinazione vincolata dei beni immobili. Ora i conviventi possono decidere se rimanere tali senza vincoli giuridici, se registrarsi per avere le tutele imposte dalla legge in merito oppure stipulare anche un contratto di convivenza. In quest’ultimo caso, sempre che non siano legati giuridicamente ad altri partner, devono rivolgersi all’avvocato, il quale dovrà verificare la sussistenza dei presupposti e attestare la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico trasmettendolo poi al Comune di appartenenza per l’opponibilità a terzi. L’art. 59, poi, elenca i casi di risoluzione del contratto, che può avvenire per accordo delle parti, per recesso unilaterale ( da notificare all’altra parte ) per il matrimonio o l’unione civile tra i conviventi, o tra uno di loro e l’altra persona, e per la morte di una delle parti.
( Avv. Francesco Reggio )